(agosto 1983)

Verso l’isola dei sogni evaporano i desideri, sale della vita; fluttuano senza peso sopra passi d’incanto: i “paradisi” di Archetti.
Fanciulle splendide, diafane come ectoplasmi, oscillano sotto veli e trine, e cappelli dalle grandi ali di farfalla.
Dolce è la voce dei colori, nel silenzio del mezzogiorno. Un aquilone ondula nella luce che dilaga; senz’ombra la sedia a sdraio sulla spiaggia; senz’ombra la panchina nella piazza: è l’ora di Pan.
Sono composizioni chiarissime che recuperano estenuati languori preraffaelliti e liberty, risposta originale, non violenta, al furore irrazionale del colore, del segno, del suono; alle voci d’un tempo barbaro, il nostro, che nella ribellione e nell’invidia, in Satana e in Caino, vede il destino dell’uomo.
Va controcorrente, dunque, Archetti, con una pittura raffinata che esprime alti valori morali.
Più che ricordi e rimpianti sono lucori di speranza; vedo in questa pitura desideri di un mondo pulito, buono; ci vedo sete d’assoluto, rifiuto della banale meschinità del quotidiano.
Sono spazi metafisici scanditi in profondità da presenze ricorrenti: un aquilone nel cielo, un ombrellone sotto il sole, un uccello sopra un palo. Richiami al reale come le siepi di qualche anno fa; stimoli per il decollo della fantasia verso sentieri che si perdono nell’infinito.
Vibrazioni sottili escono da una materia che dà spessore e smalto al colore. Un racconto breve, a volte, è chiuso entro una cornice di fondo che rammenta il pizzo di carta impreassa intorno a certe immaginette del libro da messa della nonna.
Mi piace l’idea del frammento; è stimolante la figura eccentrica, quasi ad indicare che sta entrando in scena, avvolta in un malinconico stupore d’eliso antico.

I volti senza sorriso s’illuminano nel ricordo d’un bene perduto.

Ferdinando Arisi

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