Dovendo raccontare delle sensazioni, ho fissato un appuntamento con pochi colori: mi serviva il giallo, l’arancio, il bianco, il blu.
Forse l’infinito non esige molti colori: sembra puro limpido semplice grande immenso silenzioso misterioso, sempre comunque enigmatico.
Invece dei quattro colori con cui volevo stabilire un dialogo, eccoti subito dopo attorniato da centomila altri colori, lì fermi immobili che ti guardano, quasi a supplicarti di intingere il pennello anche su di loro. E dire che avevo iniziato questo viaggio volendo raccontare il tutto con pochi colori.
E’ comunque difficile non dar ragione ai mezzi toni, alle ombre, ai rossi che si insinuano sotto strati di colore. E così lo spazio si dilata, l’infinito prende forma, scendono delle gocce: blu, devono essere senz’altro blu, non c’è un altro colore vincente, non ci si può sbagliare.
Subito dopo senti: – “Ed io chi sono?” – E’ il solito arancio che spruzza luminosità e salute da ogni parte e sostiene di avere tante belle caratteristiche per trasformarsi in pioggia d’infinito. Non meno impertinente il giallo ed anche il bianco con voce morbida ma accattivante sostiene che potrebbe rendere l’infinito meglio del blu. Non parliamo poi del viola che sembrava accantonato, e invece, in questa situazione, si fa sentire con un’energia che teneva nascosta non so dove.
Pazienza! Sono esigenze da tener presente, ascolteremo meglio le motivazioni di tutti i colori, perché ciò che all’inizio sembrava naturale ora non lo è più: son cambiati gli attori entrati in scena a gamba tesa come il nero che pretenderebbe con forza di voler diventare la prima donna e di sapersi trasformare in cascata d’infinito.
– Per adesso tu stai zitto, non so se arriverà anche il tuo momento! Comunque l’infinito permette alla mente di riposare, di perdersi, di sollevarsi.
Enzo Archetti (da “Appunti di viaggio” gennaio 2015)