Questo racconto forse non avrebbe mai voluto essere scritto (se ne stava così bene là dov’era!) se la gente, passeggiando in quel primo mattino sul lungolago, non si fosse fermata ad ammirare un cigno bellissimo sull’acqua azzurra suggerendo al tempo stesso lo spunto per questa trama.

Enzo Archetti IL VOLO – gennaio 2012 scritti Quel cigno era Candido.
Il nome gli era stato dato all’unanimità dal clan dei cigni perché era bianchissimo. Corteggiato, vivace, intraprendente, furbo, intelligente. Tutti i cigni avevano le ali grandi, molto grandi ma non le utilizzavano. Le ali erano state inventate per volare non per fare altro, ma, di questo, i cigni se ne erano ormai dimenticati.

Candido invece era l’unico che riusciva ad alzarsi in volo senza difficoltà perché sfruttava le palme dei piedi aperte e il primo colpo d’ala a filo d’acqua per poi dirigere il becco arancio con tutto quel collo a 45 gradi in direzione del sole di giorno e della luna di notte. Una forma essenziale e perfetta disegnata in cielo da un grande maestro. Sul lago roteava, si permetteva acrobazie, curvava in paraboliche, planava come i gabbiani, faticava un po’ ma riusciva a risalire in verticale e, vanitoso com’era, sbirciava sul lungolago per osservare le persone che lo guardavano e sognavano. Il re del cielo, il più solenne.

Tutti i cigni galleggiavano assenti, soltanto lui guardava in alto, volava e l’universo lo seguiva. Un vero spettacolo. Gli succedeva a volte di incontrare Jonatan il gabbiano, ma quello non gli rivolgeva mai una parola, mai un complimento, come se non fosse stato visto. La realtà di Jonatan era ben oltre lo specchio di lago riflesso in cielo! Ben oltre le nuvole e l’azzurro! Candido concludeva: -”Tante teste, tante zucche!”. A Jonatan non importava essere visto, si divertiva, volava volava volava.
Al cigno invece non era proprio mai scattata l’idea di volare oltre, si accontentava di stare lì e lì si pavoneggiava. Sembrava che questo equilibrio non potesse essere alterato. Anche nel cielo d’inverno Candido riusciva a volare, gli lacrimavano gli occhi per il freddo, si dava una bella scrollata di testa e tutto ritornava come prima.

All’inizio della primavera però Candido cominciò a cambiare. Tuffava il suo lungo collo sott’acqua, pescava e mangiava, godeva nel mangiare di tutto: pesci alghe rifiuti biscotti, non guardava più in alto, non ne aveva il tempo, pensava soltanto a procurarsi il cibo e così ingrassava. Qualche volo basso, poco entusiasmo, posizionarsi a 45 gradi era una gran fatica. Là in alto, molto in alto, Jonatan leggerissimo giocava con l’infinito. Lo sguardo sempre oltre. Acrobazie in cielo non viste da terra. Candido tentò di rifare il volo secondo lo schema migliore delle palme dei piedi aperte e del primo colpo d’ala a filo d’acqua, si concentrò socchiudendo gli occhi ma si ritrovò subito in acqua accompagnato da solenni risate da parte di tutti i cigni, specie dei più anziani, che lo fecero sprofondare nel rosso della vergogna.

La derisione fu tale che non volle mai più tentare il volo, preferiva esercitarsi in acrobazie di pulizia e igiene personale, starsene lì immobile, bighellonare e farsi ammirare, farsi continuamente ammirare. Ormai le grandi ali non servivano più, il rapporto peso-apertura alare si era rotto. Si sentiva bello nel turchese dell’acqua. Le acrobazie in volo un ricordo, non erano servite proprio a niente, incapace anche di decifrare perché le cose fossero andate proprio in quel modo. Era ritornato un cigno normale. Lassù, in alto, Jonatan continua la sua avventura e scrive in cielo messaggi che l’arte può decifrare.

(da “Appunti di viaggio” – gennaio 2012)

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